Vi propongo la mia traduzione di un editoriale di Gilles Guerithault, comparso su un numero di
"l'Auto-Journal" del 1974.
Si parla della grave crisi della Citroën di metà anni '70, delle sue cause e di tutte quelle azioni che l'hanno portata ad essere assorbita dalla Peugeot. Si parla di un'altra crisi economica (quella del 1973, anch'essa molto sentita) ed è stupefacente ritrovarsi 40 anni dopo in situazioni per molti aspetti simili (il dramma attuale del Gruppo PSA, con i ruoli opposti).
La storia si ripete? Vi assicuro che vengono i brividi (anche in altri articoli di altre riviste di ambito economico) a rileggere oggi le cronache delle crisi passate, con toni così simili a quelli odierni. Molti economisti direbbero che nel capitalismo sono cicliche, e allora forse abbiamo qualche speranza anche noi?
In ogni caso v'invito alla lettura di quest'analisi piena di risvolti interessanti.
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Citroën è forse vittima della Crisi Energetica? Di fatto, quest'ultima ha solo dato il colpo di grazia ad una grande malata.
Le attuali difficoltà non hanno impedito a Renault di progredire su tutti i mercati. Peugeot mantiene la sua attività. Chrysler-France è messa un po' peggio: la marca è ben diretta ma alcuni dei suoi modelli mal si adattano alle attuali condizioni. Quanto a Citroën, soffre di una cattiva gestione e di una gamma squilibrata. E' molto.
Il problema non è certo recente. Siamo stati gli unici a parlare di queste debolezze e a chiedere alla Marca dei cambiamenti. E' stata invece guidata con cecità e noi abbiamo assistito, col cuore in pena, ad un suicidio. L'orgoglio ha condotto Citroën sull'orlo del baratro. Il suo obiettivo è sempre stato quello di proporre qualcosa di ingegnoso, di singolare, di mai visto, senza essere tempestiva sull'evoluzione del mercato, i costi, gli imperativi umani e commerciali. Abbiamo reso omaggio all'intelligenza della maggior parte delle soluzioni tecniche adottate dall'azienda di Quai de Javel e contemporaneamente criticato l'incoerenza della sua politica. La nostra passione per la verità è spesso parsa severa: essa ha irritato molti dei cortigiani della marca, illuminati dal minimo gesto del loro idolo, sempre pronti ad applaudire il Genio tacitando la vera situazione dell'azienda che anzi incoraggiano verso scelte rovinose.
Questi partigiani hanno parecchie responsabilità sullo sfascio attuale di Citroën. Se i nostri lettori non hanno mai smesso di venire informati, parte dell'opinione pubblica francese viveva nell'ignoranza, nella deferenza, nell'estasi.
Mi ricorderò sempre i propositi che mi aveva confidato, ormai nel 1965, un alto funzionario carico di responsabilità economiche. Peugeot aveva appena lanciato la 204, che noi consideriamo come una vettura riuscita e opportuna, che ha aperto un periodo d'espansione per il suo costruttore. Con sicurezza e condiscendenza questo personaggio ci dava torto. A sentirlo, Peugeot, una "piccola impresa familiare", era condannata a sparire o a finire sotto le ali di un gigante, ad esempio Michelin. Ai suoi occhi bisognava essere sognatori o ignoranti per pensare il contrario.
Citroën guardava all'epoca Peugeot da molto in alto (lo stato maggiore di Sochaux se lo ricorda bene oggi...); deteneva allora il 30% del mercato, mentre Peugeot solo il 15%. L'azienda di Quai de Javel è ora scesa al 20% e per Pierre Bercot è più difficile vendere automobili che pneumatici. Citroën ha avuto torto nel pensare che i francesi si sarebbero catapultati su qualunque modello avessero loro proposto, ipnotizzati da un nome, come per l'Ami Super, la SM, la GS Birotor, tre modelli deliranti per il quale non esiste mercato (le loro qualità e difetti non vengono qui messe in discussione). Presso Citroën, né i commercianti, né i finanzieri, né gli strateghi del mercato hanno diritto a parlare. Il potere appartiene invece a dei laboratori autorizzati a sbizzarrirsi in ogni direzione, a presentare l'inedito a qualsiasi prezzo, anche a quello del fallimento. Questa grande Casa meritava ben altro destino.
Tutto ciò che abbiamo scritto da vent'anni a questa parte in proposito e che poteva sembrare crudele, si è invece trasformato per molti aspetti in realtà. I dirigenti Peugeot che da qualche tempo volteggiano su Citroën sono presi dalla vertigine. Si trovano veramente difronte al mai visto. Si sono presi qualche settimana di tempo per prendere una decisione. Saranno loro ad accollarsi un impegno coraggioso, quasi sovrumano? Intraprendere la riorganizzazione di un'azienda alla deriva che avrà perso un miliardo di franchi solo nel 1974? Sì, ma a condizione che siano accettate queste condizioni:
1. Peugeot prenderà immediatamente le redini della questione, anche prima di avere la maggioranza del pacchetto azionario in seno a una società nella quale Michelin continuerà a restare, svanendo pian piano. Non è accettabile che Peugeot si presti al ruolo di comparsa, ruolo al quale era stata costretta la Fiat, invitata a contribuire finanziariamente pur senza avere nessun diritto d'azione! Michelin deve quindi accettare le -peraltro legittime- richieste del suo partner.
2. Se si ammette che Citroën non può venire abbandonata, bisogna anche dire che Peugeot non potrà accollarsi gli errori del passato (l'avvenire è già abbastanza difficile). Sembrerebbe dunque logico che i poteri pubblici si accollino una parte di questa operazione di salvataggio. Non hanno già dato il loro contributo in questioni molto meno rilevanti?
3. Bisogna anche trovare gli uomini incaricati del raddrizzamento della marca. Peugeot ritiene che una dozzina dei suoi dirigenti potranno compiere questa difficile missione. Citroën in passato ha avuto a disposizione degli elementi notevoli che però, paralizzati, avevano dovuto lasciare l'azienda, come Claude-Alain Sarre, in totale disaccordo con Pierre Bercot. Occorrerà quindi inculcare al Quai de Javel uno spirito completamente nuovo.
La costituzione di un gruppo Peugeot-Citroën richiederà molto tempo e molti sforzi. Rappresenterà un punto d'equilibrio nel panorama industriale francese e nell'insieme possiederà una potenza simile a quella di Renault. Quest'ultima, possiamo immaginare, segue con molta attenzione gli sviluppi della vicenda. Solidamente installata su un mercato dell'automobile che non è più in crescita, la Régie si concentra sulla diversificazione. Ci torneremo. Per ora ci limitiamo a dire che se la creazione di fabbriche, di officine e di attrezzi continuerà a interessarla, s'indirizzerà verso altre direzioni. La partecipazione che ha appena assunto nel gruppo Gitane (terza azienda di Francia in questo settore dietro a Peugeot e Motobécane) rappresenta una prima iniziativa. Se Renault e Peugeot si ritroveranno faccia a faccia nel mondo delle moto (uno scontro non da poco), avranno scelto campi di manovra molto diversi. Al di là dell'automobile e del motociclo, Peugeot s'impegna nella fornitura di attrezzature e macchinari, ovvero in un mercato interno mentre Renault si rivolge all'esterno e alle attività per il tempo libero.
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L'automobile è su un binario morto? Tutt'altro. E' anzi divenuta la migliore locomotiva del nostro treno di vita.
Gilles GUERITHAULT
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Alla mia riflessione generale d'inizio post aggiungo due citazioni che mi hanno colpito molto:
Presso Citroën, né i commercianti, né i finanzieri, né gli strateghi del mercato hanno diritto a parlare. Il potere appartiene invece a dei laboratori autorizzati a sbizzarrirsi in ogni direzione, a presentare l'inedito a qualsiasi prezzo, anche a quello del fallimento.L'orgoglio ha condotto Citroën sull'orlo del baratro. Il suo obiettivo è sempre stato quello di proporre qualcosa di ingegnoso, di singolare, di mai visto..."Il genio è la capacità di vedere dieci cose là dove l'uomo comune ne vede solo una, e dove l'uomo di talento ne vede due o tre", diceva Ezra Pound.
E oggi siamo
ancora alla guida di automobili che
ancora ci colpiscono per intelligenza, anticonformismo e modernità, ancora oggi facciamo girare i bambini per strada alla vista di meravigliosi vascelli che si sollevano in aria prima di scivolare elegantemente sulla strada che hanno davanti.
Vale la pena di morire per certi ideali? Penso di sì e credo che con la fusione con la Peugeot, Citroën abbia perso molta della sua identità sulla strada dell'omologazione.
Per molti aspetti (con l'eccezione ovviamente del capitale umano che sarebbe andato perduto nel fallimento) penso sarebbe stato meglio chiudere l'avventura proprio allora, con la piena dignità di essere rimasti fedeli a un'idea. Un po' come è successo di recente con la Saab.