ricevo da Francesco Giovannelli e molto volentieri inserisco nel forum su sua richiesta l'Esposto contro Accordo Programma, con raccomandazione di diffonderlo al maggior numero di persone, enti, quotidiani, etc. possibile.
Avv. RICCARDO GENTI
20146 MILANO - Via J. Palma 17 - Tel. e fax: 02/4036682 Cell.: 338/1546774
ALLA REGIONE TOSCANA (raccomandata a.r.)
AI COMUNI DI: FIRENZE, GROSSETO, LIVORNO, LUCCA, PISA, PISTOIA, VIAREGGIO, AREZZO, CAPANNONI, SIENA, MONTECATINI, PONTEDERA, POGGIBONSI, PRATO, BAGNO A RIPOLI, CALENZANO, CAMPI BISENZIO, CASCIANA, LASTRA A SIGNA, MONTELUPO FIORENTINO, SANTA CROCE SULL’ARNO, SCANDICCI, SESTO FIORENTINO, SIGNA, (a mezzo fax o via e-mail)
Gravemente illegittimi i divieti alle auto non catalizzate, in totale violazione del principio comunitario di proporzionalità del diritto di proprietà
Preavviso di ricorsi in tutte le sedi e di querela per abuso d’ufficio per chiunque attuerà questo indecente provvedimento
Ho letto allibito l’Accordo di programma del 15/4/2003 (approvato con delibera 990/2003) che, con il pretesto di ridurre le concentrazioni di PM10, stabilisce l’espropriazione di fatto (creeping expropriation) dei veicoli non catalizzati a far tempo dal 2006 nei più importanti Comuni del suo territorio.
E’ un provvedimento di una gravità inaudita, che non ha, a quanto mi risulti, il benché minimo riscontro nei paesi europei e in quelli civili in genere, e soprattutto è di una illegittimità colossale, totalmente al di fuori della legalità, vìolando in modo irridente diritti e libertà di rango primario del cittadino e principii cardine dell’ordinamento comunitario e internazionale; un provvedimento degno dei peggiori regimi totalitari, da Iraq di Saddam Hussein o da Afghanistan del regime talebano, tanto per intenderci (la dottrina del settore ha già avuto modo di definire “da Stato totalitario” divieti con siffatte caratteristiche: E. BUGLIONE, in Qualità dell’aria e automobili, a cura di C. Desideri, Milano 1996, pag. 130). E’ un provvedimento che, dietro la falsa ed attraente maschera della tutela ambientale, ha in realtà il solo evidente scopo di sostenere il mercato dell’auto; è un provvedimento al quale sono del tutto estranee le finalità ambientali, essendo certamente voluto, come tutti quelli analoghi, dalle multinazionali del settore automobilistico; è, quindi una sorta di operazione commerciale, un provvedimento che “recepisce” le lamentele, le forti pressioni che da anni queste multinazionali esercitano nei confronti delle Autorità fino a ottenere, dalle Amministrazioni più “magnanime”, atti che, spacciati alla pubblica opinione per provvedimenti di tutela ambientale (anche grazie a una informazione volutamente distorta, in barba all’obbligo di corretta informazione ambientale), soddisfano in realtà le pressioni della lobby delle 4 ruote; è un provvedimento, infine, che mentre rischia di lasciare a piedi e gettare sul lastrico migliaia di pensionati, casalinghe e appartenenti alle fasce deboli della popolazione, ha l’effetto di portare denaro, molto denaro, a chi di denaro ne ha già tanto e anche a chi, ad esempio, ha appena percepito la modesta sommetta di tremila miliardi di lire (proprio così: 3.000.000.000.000) in seguito a un accordo con una Casa automobilistica americana. Fantastico.
Dunque, i proprietari delle vetture non catalizzate che vogliono continuare ad usare la propria patente di guida hanno una via semplicissima: recarsi al più vicino concessionario
con il libretto degli assegni al seguito. E se non vogliono, se non possono ? Peggio per loro! In fin dei conti la Toscana, si sa, è ricca di amene collinette, mete ideali per lunghe passeggiate a piedi, che fanno così bene alla salute, soprattutto a una certa età…
LE VIOLAZIONI - La Regione Toscana, di nota matrice marxista-leninista, di questa “dottrina” dimostra di possedere le principali caratteristiche: il disprezzo per il diritto di proprietà privata e l’amore, la devozione per il Grande Capitale, per i poteri forti economici. E, coerente con la propria matrice ideologica, mette in pratica questa attrazione fatale con un mix impressionante di violazioni e illegalità. Lo tsunami dell’illegittimità toscana travolge tutto: oltre ai già citati diritto di proprietà privata e principio di proporzionalità (sui quali vedi infra), l’Accordo di programma vìola la Direttiva 90/313/CEE, recepita in Italia col D.lgs 39/1997 che prevede l’obbligo di corretta informazione ambientale, laddove le vetture a benzina non catalizzate vengono presentate, a torto, maggiormente responsabili di quelle diesel catalizzate, anche Euro 4. E la Regione sa benissimo che non è così: una ricerca pubblicata sul quotidiano Il Sole 24 Ore del 4/11/2002 avente come fonte la relazione annuale sulla qualità dell’aria del Comune di Firenze - anno 2000, indicava il seguente grafico, a proposito delle cause antropiche del PM10:
Alle autovetture private, dunque (tutte, catalizzate e non, a benzina e diesel), questa relazione attribuisce una percentuale irrisoria (4%) di contributo nocivo di polveri fini. Non c’è davvero bisogno di commenti, anche perché tutte le Arpa nazionali ci dicono quotidianamente che le polveri fini provengono dalla combustione del gasolio. E il provvedimento della Regione Toscana è ancora più grave e illegittimo se si considera che, negli obiettivi dichiarati, esso mira a ridurre non lo smog in generale ma il PM10, il solo inquinante che, in Toscana come altrove, supera i limiti d legge. L’Accordo si riferisce espressamente al PM10 in più occasioni, come ad esempio nelle premesse, ove è scritto che si punta al “contenimento dei livelli di concentrazione di PM10” e che “l’obiettivo è quello di ridurre, in particolare, i livelli di concentrazione del PM10“, ma anche all’art. 1 che, tra le “finalità” indica la “riduzione delle emissioni di PM10”. Appaiono pertanto ancor più paradossali i divieti alle vetture a benzina, sia in quanto esse non sono causa delle polveri fini, sia per il loro numero esiguo e in continuo calo. E proprio la tipologia dei provvedimenti adottati con riferimento alla lotta alle polveri sottili fa chiaramente
capire come il risanamento dell’aria sia del tutto estraneo agli scopi dell’Accordo di Programma: non c’è uno straccio di provvedimento verso i veicoli diesel catalizzati che, al contrario delle vetture a benzina non catalizzate, producono le poveri fini; nulla nei confronti dei mezzi commerciali, la stragrande maggioranza dei quali è alimentata a gasolio, nulla nei confronti delle caldaie, neppure di quelle a carbone (80 delle quali, è stato stimato, inquinano come 300.000 auto non catalizzate !), nulla verso gli impianti industriali, nulla verso i mezzi pubblici a gasolio. Nei confronti di tutte queste fonti di PM10 non c’è ombra di provvedimento, ma solo qualche generico e vaghissimo impegno a monitorare, a migliorare, a verificare. Si può pertanto affermare che tra tutte le fonti reali di PM10 la Regione Toscana ne colpisce una sola, le auto diesel non catalizzate, espropriandole di fatto (questi mezzi non possono neppure essere convertiti al gpl o al metano), trascurando tutte le altre sorgenti e punendo, invece, una categoria, i veicoli a benzina non catalizzati, che non producono PM10 !!! Tutto, insomma, è in funzione esclusiva del colossale e potentissimo business del mercato automobilistico.
Altra grave violazione è quella del principio, pacifico in ogni Stato di diritto e connesso alla proporzionalità dell’azione amministrativa (infra, cui rinvio), dell’equo bilanciamento degli interessi contrapposti, pubblici e privati, quando vengono a configgere in conseguenza di un provvedimento amministrativo. La regola è che gli interessi privati devono sempre essere salvaguardati, per quanto possibile, nella maggior misura consentita dal caso specifico. La Direttiva 94/12/CE, ad esempio, prevede che le misure di regolamentazione del traffico debbano essere ragionevoli e proporzionate.
Appare poi del tutto incongruo e fazioso ogni riferimento alle direttive europee menzionate nell’Accordo di Programma, posto che non c’è una sola riga di qualsivoglia provvedimento comunitario che preveda espropriazioni di categorie di vetture, o espropriazioni di esse; le direttive in materia ambientale si riferiscono sempre a tutte le fonti di un singolo agente inquinante. Senza contare che la direttiva è un tipo di atto che vincola i singoli Stati nell’”an” del risultato ivi previsto, ma il quomodo, il “come” raggiungere quel risultato è soggetto al rispetto rigoroso del principio di proporzionalità.
Illegittima è anche l’interpretazione degli articoli del Codice della Strada citati nell’Accordo ove essi siano intesi contra legem, cosa, ovviamente, non consentita.
Per quanto sopra detto, è poi completamente alterato e violato il principio comunitario “chi inquina paga” (polluter pays principle, art. 174, ex 130R, Tratt. U.E.).
Detto ancora che l’Accordo di programma appare viziato da eccesso di potere amministrativo quantomeno sotto i profili dello sviamento dalla causa tipica, del travisamento dei fatti e della irragionevolezza, qualche parola va spesa circa le due più gravi violazioni delle quali è macchiato il famigerato Accordo:
a) violazione del principio di proporzionalità (art. 5, ex 3B, 3° comma, Tratt. U.E.). Qualunque atto amministrativo, anche quelli del tipo command and control in materia ambientale, per essere legittimo deve essere al contempo idoneo a raggiungere lo scopo previsto nel provvedimento, necessario (nel senso che non deve esistere un’alternativa parimenti efficace ma meno penalizzante per i privati, deve cioè essere un’extrema ratio) e proporzionato, ragionevole, non eccessivamente pesante per i cittadini. Il concetto è ben chiaro in Consiglio di Stato 1885/2000, secondo cui “le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi che con atti amministrativi obblighi e restrizioni alle libertà dei cittadini, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore (cioè sproporzionata) a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo (cioè adeguato all'obiettivo da perseguire) e necessario (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno
negativamente incidente, sia disponibile)”. Orbene, se analizziamo i divieti dell’Accordo di Programma, la violazione del principio di proporzionalità appare in tutta la sua gravità, in quanto nel caso delle vetture a benzina non esiste neppure la idoneità a raggiungere lo scopo di una diminuzione dei valori del PM10 in quanto, come già detto, le polveri fini derivano dalla combustione a gasolio, tanto che nelle direttive europee non è neppure previsto un limite del PM10 per le vetture a benzina; per le vetture diesel il provvedimento è teoricamente idoneo, ma solo nell’ambito di un’azione nei confronti di tutti i processi di combustioni a gasolio, mentre il provvedimento, se imitato alle sole vetture diesel non catalizzate, è del tutto inidoneo. Il requisito della necessarietà (si veda la sentenza poco sopra riportata), poi, è del tutto inesistente, posto che esisterebbe una lunga serie di azioni, oltrettutto maggiormente efficaci, molto meno lesive dei diritti privati: basterebbe prendere in considerazione le altre fonti di PM10 e intervenire su di esse. Sulla ragionevolezza e non eccessiva pesantezza di un provvedimento che dice “da domani puoi scordarti la tua vettura”, beh, ogni commento è superfluo;
b) violazione del diritto di proprietà. La proprietà è un diritto fondamentale dei cittadini, tutelato, oltre che dall’art. 42 Cost., dall’art. 295 Tratt. U.E., come elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; dall’art. 1 del Primo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che riveste rango di norma costituzionale, e dall’art. 17 della Carta dei Diritti fondamentali dell’U.E., che inserisce la proprietà tra le libertà fondamentali dell’individuo e che ammette limitazioni al suo godimento in vista della funzione sociale ma solo previo rispetto del principio di proporzionalità. La Corte di Giustizia delle C.E. costantemente afferma che “è possibile attuare restrizioni all’esercizi dei diritti, tra i quali la proprietà, purchè le restrizioni non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato e inammissibile che pregiudicherebbe la sostanza stessa di tali diritti”. Ogni commento è superfluo: basti qui solo aggiungere che l’Accordo di Programma non dice una sola parola per le vetture d’epoca e di interesse storico.
In tale situazione
chiedo
che l’Accordo di Programma del 15/4/2003 e la delibera 990/2003 siano revocati immediatamente;
avverto
che qualora esso dovesse entrare in vigore darò corso a tutte le azioni giudiziarie, in sede nazionale e comunitaria (sempre possibili in virtù dell’istituto dell’interesse sopravvenuto) e presenterò denuncia-querela per abuso d’ufficio (art. 323 cod. pen.) nei confronti di tutti gli amministratori che daranno attuazione a questo vergognoso provvedimento.
Distinti saluti.
Milano, 14 dicembre 2005 Avv. Riccardo Genti