E' un po' lungo, consiglio di spamparlo.
Lo chiamavano "Il Volvone"
Correva una scia lunga e squadrata lungo l’argine sulla riva del Po. Una soave sinfonia d’oro correva sui profili cromati lungo la fiancata. D’oro come le foglie dei pioppeti in riva al fiume, d’oro come il sole di quel bellissimo pomeriggio autunnale. Questa è l’immagine che ricordo della nostra eterna Volvo quando arrivò a casa, il nostro Volvone... Un blu/verde petrolio era la sua veste di lamiera, quasi a ricordare la sua ghiottoneria preferita, condita d’olio Shell. Coi suoi due fanali che sembravano gli occhiali rettangolari di un ingegnere, procedeva impettita nelle nebbiose mattine di novembre e le automobili che incrociava, parevano inchinarsi di fronte alla sua discreta imponenza. Quando la sentivo arrivare, il cuore mi incominciava a palpitare come il suo 6 cilindri. Aveva un rumore inconfondibile: a un chilometro di distanza la sentivi arrivare. Il suo canto era un ruggito misto ad una smorfia, forse un tendicinghia dal rumore un po’ metallico. Poetico, tanto che dava l’idea del leone colpito, che nonostante la ferita, ruggiva mostrando la sua forza. Era veloce come un condor, elegante come un’acquila, silenziosa come un pesce, confortevole come una poltrona da barbiere e soprattutto sicura come un carroarmato. Aveva un sol difetto: L’accendevi e… fumata nera! No, non che non partisse, partiva bene, solo che fumava. L’accendevi e fumava, acceleravi e fumava, sorpassavi e fumava. Sembrava che ti avesse sorpassato una scuderia di camion se non fosse stato per la velocità supersonica con cui portava a termine tale manovra, concludendola con la stessa eleganza della Nike di Samotracia. Non c’era nulla da fare, usciva dalla fabbrica così. Una nube nera accompagnava la sua scia come un elegante velo che cela una bellezza misteriosa che solo al suo passare si dissolve, accendendoti ancor di più la voglia e la curiosità. Il nonno Oliviero ne andava fiero. Accendeva la sua pipa, abbassava il finestrino e partivano. Pareva quasi facessero a gara a chi fumasse di più. La nonna ancora in vita, lo osservava per viaggi interi boccheggiare con la pipa il fumo dal finestrino abbassato ed io, seduto dietro, accanto ad un portentoso portaoggetti stracolmo di gioiosi giocattoli, alloggiato nel poggiabraccio, mi divertivo come non mai sulla Bat Mobile del nonno. Nell’immaginario dei miei sette od otto anni, il rumore prodotto dall’innesto della turbina, riproduceva perfettamente il sibilo dell’auto dei telefilms. Era troppo presto per parlare di OVERDRIVE, di turbocompressore ecc… ma avevo colto il rituale che affascinava ogni passeggero attento di quella macchina. La leva del cambio presentava un piccolo bottone sulla sua sommità, che azionato dopo la quarta marcia, attivava una spia verde sul cruscotto e da quel momento, l’auto diventava di colpo silenziosa e l’unico rumore era quel sibilo sottile come un respiro. Quando ci veniva a prendere dopo la scuola e tornavamo a casa coi miei amichetti, potevamo guardare le nuvole correre fuori dal finestrino, illusi che fossero frutto della pipa del nonno o dello scarico dell’auto, a seconda che fossero bianche o nere, facendo nascere vere e proprie diatribe. Durante i viaggi nelle calde serate d’estate, Oliviero, il nonno, che non sopportava il condizionatore, apriva tutto il tettuccio premendo un bottone e si apriva un sipario di stelle che, col crescere della velocità che aveva nelle vene, finivano per trasformarsi tutte in comete. Poi accendeva un nastro di Massimo Ranieri con la sua: Perdere l’Amore e prendeva a cantare a squarciagola: “…e vorresti urlare, soffocare il cielo, sbattere la testa mille volte contro il muro, respirare forte il suo cuscino, dire è tutta colpa del destino, se non ti ho vicino…” Ma un brutto giorno, dovette mettere a dura prova la sua Volvo. Dominava la strada conosciuta come le sue tasche, dalla sua cabina, ignorando che dietro la curva, avrebbe trovato un allegro furgone dell’ANAS, fermo senza segnaletica. La Volvo sopraggiungeva spedita quando si trovò di fronte il maledetto ostacolo che il nonno evitò magistralmente con una virata di timone. E sarebbe andato tutto bene se a mancina, non stesse sopraggiungendo un camion…
Il motore caduto a terra, il cofano accartocciato a fisarmonica, l’airbag aperto come un fiore, gli amici che attendevano all’autodromo di Monza, il cellulare, caduto immobile sotto il sedile, che squillava invano, mentre gli altri lo attendevano, anch’essi invano. Ecco come finisce un pilota, un ex rappresentante con milioni di chilometri alle spalle, ma Oliviero aveva scelto una Volvo di una volta, sicura come un carroarmato…
Sei mesi dopo, il nonno concludeva il suo ciclo di riabilitazione e con lui la sua Volvo 740 Turbo Intercooler, il ciclo di verniciatura, all’apice di una riparazione antieconomica. Non la volle abbandonare, ben sapendo la spesa a cui sarebbe andato incontro, dopo che gli aveva salvato la vita! L’aveva fatta rifare tutta: la scocca, il telaio, le lamiere, che si erano accartocciate come le braccia di un padre che tenta di difendere il proprio figlio. Quanto alla meccanica era tornata un bijou. Ma non aveva perso il vizio di fumare. Nessuno dei due. Era certo, il nonno non sarebbe morto sulla sua Volvo.
Ma purtroppo, sopraggiunse un pilota imbattibile: il legislatore, a bordo di una macchina da guerra: lo stato, un Leviatano che impone cambiamenti più veloci della luce e che divora gli imperi e le persone. In una sola notte, la sua vettura divenne di colpo troppo inquinante per circolare impunemente in città. La catalitica sarebbe stata il futuro, la verde, l’auto in plastica, la citycar, le rigide sospensioni Mc Pherson, le linee indefinite e tutte omologate. Non poté fare altro, fu costretto a farla demolire. Un pilota che sopravvive alla sua carriera e ad un incidente in tarda età, non merita di vedere portato via quanto ha di più caro: la sua Volvo. Lo vidi piangere come un bambino sul cofano della sua auto e salutarla, dandosi quasi appuntamento. Fu un’emozione troppo grande per lui e forse, fu con questo pretesto che la sera stessa, la Signora con la falce se lo portò via. Pochi giorni dopo, vennero a caricare via la Volvo ed io marinai la scuola. La seguii fino dal demolitore ma ero impotente. La vidi mentre il ragno calava le chele su di essa e la spremeva sollevandola. Appena prima che la schiacciassero, me ne andai con una struggente angoscia nel cuore. Mi sembrava di non essere riuscito a salvare il nonno…
Ma alzando lo sguardo, notai in cielo una bellissima nuvola a forma di Volvo, con a bordo il nonno che sorrideva e salutava come se non se ne fosse mai andato. Mi fermai, coi lacrimoni ed il sorriso ad osservare quell’autentica riproduzione, frutto di quel gas che usciva dallo scarico della sua marmitta e della pipa di Oliviero. Alla fine Il nonno aveva trionfato, sulle leggi antinquinamento e sulla vecchia Signora, ed era spettacolare vederlo con la sua velocissima Volvo spinta dal vento, a scorrazzare nei cieli per l’eternità; per la seconda volta, ancella garante d’immortalità.
Angelo Glauco Rosa