Dal Corriere della Sera del 24/01/05
I cinquant' anni della Citroën DS l' opera d' arte che divenne auto
Una vettura che sfida il tempo: oggi la «Dea» è amata dai giovani
LA CURIOSITA' È stata eletta «oggetto» del XX secolo davanti al supersonico Concorde
LA RICORRENZA La creatura di Bertoni fu esposta a New York e alla Triennale
Flavio Vanetti
Ora che ricorre il suo cinquantenario, possiamo dire che fu un' auto speciale ancora prima che vedesse la luce: la nascita, avvolta nel mistero e accompagnata da leggende metropolitane, venne svelata addirittura tre anni prima della presentazione da uno scoop di una rivista francese. Dietro la porta semichiusa di un capannone della Citroën, davanti all' obiettivo del fotografo apparve la forma di un prototipo della DS. La macchina disegnata pensando alla forma di un pesce, il «bellissimo mostro» che, in un' intervista degli anni 60, lo scultore e pittore Lucio Fontana salvava dal panorama degli altri veicoli, anonimi e per lui terrificanti. La sorpresa fu enorme: nessuno si immaginava tratti così originali. Ha ragione il professor Germano Celant, senior curator del Guggenheim Museum, quando afferma che la DS è stata la prima vettura «a comunicare un' immagine», antesignana di tempi e di un modo di interagire tra le persone che sarebbero giunti molto più avanti. D' altra parte, la «Dea», così ribattezzata giocando sulla pronuncia francese, aveva nel codice genetico la propensione alla leadership: nel primo giorno del vernissage, al Salone di Parigi del 1955, raccolse ventimila prenotazioni (diventarono ottantamila a fine rassegna); portava poi in dote qualcosa come tredici brevetti, tra i quali quello delle rivoluzionarie sospensioni idropneumatiche, che la Citroën illustrò al pubblico collocando un manichino su quattro «pon pon» galleggianti, mirabile semplificazione del ben più complesso circuito nel quale coesistevano un gas (comprimibile) e un liquido (incomprimibile). Non solo: la DS aveva una carrozzeria priva di spigolosità, con cerniere nascoste e pannelli che potevano essere rimossi facilmente e velocemente. Tra gli aneddoti infiniti della sua storia, c' è anche quello di un cliente italiano, uno dei primi, che la ordinò rossa e se la ritrovò blu: nel provarla prima della consegna, il concessionario aveva avuto un piccolo incidente. Non essendoci tempo per riverniciare la vettura e avendo in casa quanto occorreva per rendere la DS di un altro colore, procedette in questo modo trovando la comprensione dell' acquirente. Eletta «oggetto del XX secolo» davanti al Concorde, il supersonico anglofrancese, la Dea può tranquillamente essere considerata un' opera d' arte che diventò automobile. A legittimare la frase di Fontana, o quella quasi contemporanea dell' architetto Gio Ponti, secondo il quale «il processo creativo di Bertoni era insuperato» (e lo è pure oggi, probabilmente), la DS venne esposta alla Triennale di Milano, alla Galleria d' arte moderna di New York e celebrata dal grande semiologo Roland Barthes nel libro del 1957 «Mythologies» dove viene paragonata al Nautilus di Jules Vernes. E quando decise di rivisitare la sua creatura, lo stilista varesino intuì che non era necessario modificare troppo: banalmente, prese a mazzate le parti laterali del musetto, rimodellò le forme con lo stucco che gli veniva portato da un assistente antillese e creò lo spazio per ospitare due fari a sinistra e due a destra. Quelli interni erano orientabili: seguivano l' andamento delle ruote e della strada, quindi in curva aumentava il campo illuminato. Un' altra soluzione geniale, che si sta riscoprendo sulle auto di oggi. Incubo di tanti meccanici, perché il povero André Lefebvre, responsabile dell' area tecnica della Citroën, aveva dovuto «inscatolare» gli organi vitali della vettura in un contenitore inusuale, la DS aveva un' altra peculiarità che piaceva o che veniva rifiutata tout court: l' assetto molleggiato, determinato dalle sospensioni, abbinato a un abitacolo-salotto nei quali qualcuno non si ritrovava. Ma cinquant' anni dopo la DS annovera ancora tanti estimatori, rappresentati da club oggi radunati sotto le insegne di un registro (il Riasc). E da auto elegante, per famiglie borghesi, si è trasformata in vettura «cult», amata dai giovani: è questo il passaporto grazie al quale sconfinerà per sempre oltre ogni epoca. Flavio Vanetti